06 maggio 2013

Andreotti

E' morto Giulio Andreotti, 94 anni, senatore a vita con un lunghissimo passato politico fatto di mille incarichi come presidente del consiglio, ministro, sottosegretario, ma anche sospettato di aver commesso numerosi reati gravi (la Cassazione ha stabilito che Andreotti ha fatto favori alla mafia), dai quali è stato assolto politicamente o giudiziariamente (prescrizione compresa).

Andreotti è stato un simbolo dell'Italia politica, molto amato e molto odiato, ha incarnato il potere fine a se stesso, la mediazione infinita tra poteri diversi, compresi quelli illegali.

Ognuno aveva qualcosa, molti erano riconoscenti, il potere di Andreotti cresceva, ma l'Italia restava sempre uguale a se stessa, figlia di un conservatorismo che non aveva nulla in comune con Reagan o la Thatcher. Era il puro e semplice rifiuto di ogni cambiamento che ricorda l'atteggiamento di un nobile del passato intenzionato a mantenere le vecchie abitudini incurante dei cambiamenti in atto attorno a lui.

Questo era il conservatorismo di Andreotti. Non fingeva neppure di essere diverso. Altri conservatori avrebbero fatto propria la famosa massima del Gattopardo, cambiare tutto per cambiare nulla. Lui no, era cinico e rimproverò Ambrosoli, ucciso per essersi opposto al salvataggio della banca di Sindona (che Andreotti aveva esaltato definendolo "salvatore della lira") con soldi pubblici, di essersela andata a cercare.

C'è molto di Andreotti, del suo cinismo, del potere che incarnava e rappresentava, in questa Italia in crisi. L'Italia della spesa pubblica per fini elettorali, delle corporazioni che si oppongono a qualsiasi cambiamento, della politica ridotta a battuta, degli interessi economici difesi anche quando causano disastri, era la sua Italia. Lui è morto, ma quell'Italia resta. Disastrata e incorreggibile.