Uno degli esami universitari che sto preparando per il primo quadrimestre (in Spagna l'università funziona a quadrimestri come la scuola dell'obbligo, e la commissione dei docenti sceglie le date degli esami: quali e quando vanno dati; lo studente, al contrario di quanto avviene in Italia non se li gestisce da solo), del secondo anno di "Trabajo Social", (tradotto letteralmente sarebbe "Lavoro Sociale", però in realtà non sono sicuro di come si chiami il corrispettivo italiano, qualcuno quest'Estate in Italia m'ha detto sia "Servizio Sociale" ma sinceramente nutro qualche dubbio per alcuni motivi), è quello d'Antropologia Culturale.
Uno dei capitoli del libro ("Antropologìa Cultural", Barbara Miller, Editoriale Pearson), poi è dedicato all'Antropologia Economica, che viene definita: il campo dell'antropologia culturale incentrato sui sistemi economici in modo inter-culturale.
Per contestualizzare la definizione c'è da dire che nei capitoli anteriori si spiega come antropologicamente la cultura sia intesa come: un'insieme di credenze, simboli, idee e comportamenti appresi e condivisi da una società o da un segmento di essa.
Premettendo che l'economia e l'antropologia economica presentino alcuni terreni di studio in comune e che alcuni economisti ed antropologi economici talvolta abbiano collaborato nell'elaborazione di politiche economiche, il libro evidenzia le differenze fra le due discipline:
-L'antropologia economica studia approfonditamente tutti i sistemi economici esistenti ed esistiti in passato, mentre l'economia si concentrerebbe soprattutto sul capitalismo moderno e sulla formulazione di teorie economiche per il futuro.
-Il lavoro dell'antropologo è più legato a dati di carattere qualitativo piuttosto che quantitativo ed al lavoro sul campo piuttosto che all'analisi di dati statistici o censitivi.
-La differenza sostanziale comunque è che l'antropologia economica tenta più di comprendere i concetti propri della popolazione studiata ed il valore che essa stessa gli attribuisce, in relazione al suo modo di guadagnarsi la vita. Cercando d'evitare di analizzare il tutto attraverso canoni occidentali.
E qui poi le parole spese dal testo sulla relazione tra la scienza economica e quella antropologica si esauriscono, per poi essere riprese verso la fine del capitolo quando si parla del fenomeno della globalizzazione.Ed era proprio questo che m'interessava proporre come spunto su questo blog.
Traduco letteralmente dal libro tentando di sintetizzare un po', (grassetti miei):
Gli scienziati sociali discutono energicamente gli effetti della globalizzazione economica sulla povertà e la disuguaglianza. Gli economisti, basandosi su cifre a livello nazionale [....] di solito appoggiano tale fenomeno, soprattutto perché aumenta la crescita economica.
Gli antropologi culturali, che lavorano più con dati di livello locale e più "sul terreno", tendono invece a mettere in evidenza gli effetti negativi dell'espansione del capitalismo in scenari non capitalisti.
Si segnalano tre trasformazioni principali:
- 'Sfratto' ["despojo" è una delle tante parole delle quali non saprei dare una traduzione precisa in italiano], della popolazione locale dalla sua terra, con una crescita sostanziale di persone scacciate e disoccupate. Il capitalismo globale ha espulso milioni di persone dalla loro terra e contribuito all'aumento di poveri nelle città.
-Reclutamento di cacciatori-raccoglitori, orticultori, pastori e contadini in posti di lavoro di basso livello nel settore industriale/informatico. Persone che passano a dipendere da un salario, in contrapposizione alla loro previa autonomia.
-Aumento della produzione dei beni d'esportazione in regioni periferiche del mondo, in risposta al mercato globale, a discapito della produzione d'alimenti per il consumo familiare. Tendenza che può generare maggiori guadagni per la gente, ma anche ridurre la loro capacità di alimentarsi in autonomia. Contribuisce anche alla monocoltura ed alla perdita della biodiversità nelle coltivazioni.
In realtà esistono esempi di alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori ed orticultori immersi nell'economia globale mantenendo le proprie caratteristiche. 'Tuttavia' ["sin embargo" altra espressione che non so rendere precisamente in italiano], è molto più frequente che queste culture vengano distrutte a causa dell'intrusione degli interessi economici occidentali, che perdano le loro conoscenze locali, e che le persone cadano nell'abbattimento, la depressione, la malattia ed il suicidio.
Le pagine successive descrivono alcuni esempi reali di come hanno reagito alla globalizzazione varie culture, (tra gli esempi proposti: i Tiwi in Australia, i Maya del Chiapas, la Mongolia post-sovietica, Sudafrica post-apartheid, operai di una fabbrica dell'Ohio, e tribù indigene dell'Amazzonia) .
Questa era Barbara Miller, antropologa culturale statunitense ed autrice del libro universitario, (del quale io ovviamente possiedo solo la versione in spagnolo), utilizzato come fonte in quest'articolo.
Visto che dice che gli studiosi d'economia invece di solito sostengono la globalizzazione, ho pensato di proporre qui queste argomentazioni di antropologia economica, e sentire l'eventuale contraddittorio degli economisti.