Qualche settimana fa i giapponesi alle urne hanno scelto di cambiare maggioranza parlamentare. Shinzo Abe, 58 anni, conservatore, è diventato primo ministro e ha deciso un radicale cambiamento della politica economica giapponese in senso keynesiano.
Tra soldi pubblici e capitali privati, il Giappone spenderà 170 miliardi di euro. Metà li mette il governo, metà gli enti locali e i privati.
Si investirà in tecnologia, ambiente, energia e lavori pubblici, per sistemare i danni causati dallo tsunami. Inoltre si offriranno aiuti ai redditi più bassi con l'obiettivo di aumentare i consumi.
Da sempre infatti i consumi sono il punto debole del Giappone. Il giapponese è più parsimonioso dell'americano e il più basso livello di consumi non fa bene all'economia. Per stimolare la domanda, da 20 anni a questa parte i giapponesi ricorrono alla spesa pubblica e al debito, che finanziano coi i loro risparmi.
Il risultato è un debito del 236% e un deficit del 10%, che tuttavia sono controbilanciati da un elevato tasso di risparmio, da un tasso di disoccupazione inferiore a quello europeo e da forti esportazioni.
Esportazioni che trarranno beneficio anche dalla politica monetaria. La banca centrale del Giappone è vincolata dal tasso di inflazione, il cui tetto è fissato all'1%. L'inflazione ha spesso lasciato il posto alla deflazione, cioè a prezzi che calano, che tuttavia non fa bene all'economia perché imprese e consumatori non acquistano oggi ciò che domani possono comprare a prezzi più bassi.
La volontà del governo è invece di alzare il target per l'inflazione fino a arrivare in futuro al 3%. Ciò consentirà alla banca centrale di emettere moneta in gran quantità per finanziare direttamente o indirettamente il debito pubblico, le imprese e i consumatori.
Lo yen ne risentirà, ma il suo calo non potrà che favorire la crescita attraverso un aumento delle esportazioni. Diventeranno più care, è vero, le importazioni ma questo non dovrebbe essere un problema per un paese da sempre privo di materie prime e abituato a usarle con parsimonia, puntando invece sui settori a più alto valore aggiunto per creare un surplus commerciale.
Dunque un progetto ambizioso che dovrebbe far crescere il PIL del 2% nell'arco di un anno. Se funzionerà sarà un importante esempio per l'Europa, dove invece prevalgono le politiche di austerità di segno opposto.