
Domenica 12 e lunedì 13 si voterà per 4 referendum. Due riguardano l'acqua.
Secondo i promotori del referendum (vedi qui) il SI significa abolire norme che ottengono due obiettivi: una remunerazione del capitale investito da parte dei privati pari al 7% e la creazione di società private o miste pubblico-privato con l'obbligo per il soggetto pubblico di ridurre la quota posseduta.
In pratica una privatizzazione, almeno parziale, ben remunerata. Altrimenti non ci sarebbe ragione di privatizzare.
Per i cittadini che "comprano l'acqua" ovvero pagano il servizio offerto da chi distribuisce l'acqua pare certo l'aumento delle tariffe, come si può capire leggendo i bilanci.
Il bilancio (vedi qui) del gruppo SMAT, che distribuisce l'acqua a Torino dice che il guadagno riferito al capitale investito (ROI) è pari al 4% circa. La legge prevede che le società private guadagneranno il 7%. Se si privatizzasse le tariffe aumenterebbero o ci rimetterebbero i dipendenti e/o i fornitori, pagati peggio.
Ma perchè privatizzare l'acqua (meglio: il servizio)? Si indicano diverse ragioni: ridurre i debiti dei comuni, migliorare l'efficienza del servizio, eliminare le odiose pratiche di assunzioni clientelari.
Tuttavia l'efficienza non appartiene per forza ai privati. Anche i privati assumono amici e parenti, attribuiscono più facilmente compensi troppo elevati agli amministratori, possono scegliere i fornitori legati a qualche azionista o amministratore della società, anzichè il più conveniente. Se operano in regime di monopolio, come accade nell'acqua, non sempre hanno interesse a investire e migliorare il servizio, visto che il solo rischio che corrono è il mancato rinnovo, dopo molti anni, della concessione, da parte di politici che peraltro i profitti dell'impresa possono "ammorbidire" in vari modi.
Insomma, le vie dell'inefficienza guidata dal profitto sono infinite, anche nel settore privato, specie nelle aziende monopolistiche, che, come insegna qualsiasi manuale di economia, tendono sempre a tenere alto il prezzo e a ridurre la quantità del bene o del servizio offerto.
Non c'è motivo di invocare la privatizzazione neppure da un punto di vista finanziario. Se il comune privatizza l'azienda dell'acqua, può ridurre i suoi debiti e la spesa per interessi. Se il comune paga -supponiamo- un interesse medio del 5%, perchè non garantire all'azienda dell'acqua un rendimento del 6%, visto che si offre un rendimento certo del 7% alla stessa azienda, se privatizzata?
Solo se il tasso medio sul debito superasse il 7% il comune avrebbe interesse a privatizzare l'azienda dell'acqua e a ridurre il debito.
Se non ci sono motivi per privatizzare e se i referendum faranno tornare pubblica l'acqua, perchè toglieranno l'interesse dei privati, resta una domanda: come rendere più efficiente il servizio e far guadagnare gli enti locali?
Con una serie di regole piuttosto banali. Alcune per ridurre le spese inutili, come quella pubblicitaria. Perchè un'azienda monopolista che offre un servizio essenziale deve pubblicizzare le proprie attività? Si possono poi imporre per legge regole che riducano il numero e le retribuzioni degli amministratori e creare le condizioni perchè le aziende collaborino nell'acquisto di beni e servizi o perchè le aziende minori si possano fondere con aziende più grandi e godere di economie di scala.
Se poi tutto questo non funziona, il servizio è scadente o troppo costoso, si può obbligare il comune con un'azienda inefficiente a venderla. Non ai privati, ma a un'altra azienda pubblica.
Succede già: la torinese SMAT controlla il 30% circa di SAP (un altro 30% è in mano a IREN, una società multiservizio creata unendo le attività nel settore acqua, luce e gas di Torino, Genova e di diversi comuni emiliani) che a sua volta gestisce l'acqua a Crotone e partecipa alla gestione dell'acqua in 82 comuni della provincia di Palermo.
Dunque esitono le soluzioni per rendere il servizio di distribuzione dell'acqua efficiente e magari redditizio per i comuni e si può votare tranquillamente SI al referendum del 12 e 13 giugno sull'acqua pubblica.