Il governo Letta ha messo in cima alla lista delle priorità la ricerca di strade per ridurre la disoccupazione, a cominciare da quella giovanile.
Per quanto se ne sa, il governo intede intende concedere agevolazioni fiscali a chi assume i giovani. Con quali effetti? E con quali risultati?
C'è un grosso limite nella strategia del governo: rendere più conveniente la produzione di beni e servizi, aiuta a incrementare le vendite ma solo in parte.
Se Fiat non vende le proprie auto e non le vendono neanche i concorrenti, la diminuzione dei costi serve a poco. Difficile che chi non spende 10.000 euro per acquistare un'utilitaria, possa decidere di comprarsela se il prezzo scende di qualche centinaio di euro. Qualcuno lo farà, ma saranno pochi.
L'altro grande limite consiste nel rischio che le imprese, potendo assumere lavoratori poco costosi, ai liberino di lavoratori anziani più costosi, oppure che assumano lavoratori in precedenza licenziati allo scopo di godere delle agevolazioni.
Nel primo caso il danno per le casse dello Stato è doppio: concede sgravi fiscali e si trova a dover intervenire per tutelare lavoratori di 50 o 60 anni licenziati per far posto a giovani meno costosi.
Nel secondo caso, il licenziamento di un lavoratore con successiva assunzione dello stesso per poter usufruire di sgravi fiscali, si traduce in una perdita di introiti per le casse statali, senza alcun incremento della produzione, dell'occupazione e delle entrate fiscali.
La proposta del governo può funzionare solo in alcuni casi: se l'occupazione in un'azienda aumenta, se si trasforma un lavoratore a tempo determinato o con un contratto atipico in un lavoratore a tempo indeterminato.
Ma qui torniamo al primo limite della proposta governativa: può un'azienda assumere nuovi dipendenti o trasformare un lavoratore a progetto in un dipendente a tempo indeterminato se non aumenta la domanda?