09 settembre 2010

Quando si arrestava il governatore della Banca d'Italia...


L'età deve aver fatto perdere a Giulio Andreotti qualche freno inibitore. Così ha detto che l'avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso da un sicario della mafia mandato dal bancarottiere Michele Sindona, se la stava cercando. E' morto per quattro proiettili di un sicario mafioso assoldato da Sindona, che Andreotti considerava il "salvatore della lira" e la mafia a un certo punto ha pensato fosse solo uno scomodo complice da eliminare con un caffè corretto al cianuro.

Michele Sindona è stato un avvocato siciliano col pallino della finanza e capitali mafiosi a disposizione. Ha tentato operazioni finanziarie spericolate, e ha fallito, ma soprattutto ha usato i soldi dei correntisti come se fossero soldi della banca.

La sua Banca Privata è finita in mano all'avvocato Ambrosoli, il curatore fallimentare scelto dal Tribunale. Ambrosoli ricostruisce le "intricate combinazioni finanziarie" (1) della banca e si oppone ai piani di salvataggio organizzati anche da Andreotti, allora presidente del consiglio, per salvare la banca.

Ambrosoli si oppone ai salvataggi che avrebbero trasferito le perdite della Banca Privata al Banco di Roma, attraverso una acquisizione della banca di Sindona a opera della banca romana i cui dirigenti erano scelti dal potere politico e, in particolare da Andreotti, e per questo viene ucciso.

Prima che entri in azione un killer della mafia, che nel fallimento delle attività mafiose stava perdendo grossi capitali, succede un fatto quasi altrettanto inquietante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli: il governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi finisce agli arresti domiciliari, mentre il direttore generale Mario Sarcinelli è arrestato.

L'inchiesta, destinata a finire nel nulla, prende le mosse da un magistrato molto vicino ad Andreotti, Claudio Vitalone, come ricorda Eugenio Scalfari in questo articolo.

Come Ambrosoli, anche la Banca d'Italia era contraria a un'operazione di acquisizione di una banca a opera di un'altra per salvare la banca che ricorda molto l'operazione di acquisizione della banca leghista Credieuronord a opera della Banca di Lodi di Fiorani su suggerimento del governatore Fazio.

Sindona aveva un terzo avversario: il leader repubblicano Ugo La Malfa. La Malfa prima si oppone a un aumento di capitale della Finambro, voluta da Sindona per sistemare, almeno per un pò, qualche guaio, perchè avrebbe messo in pericolo i risparmi di migliaia di cittadini, e poi usa il suo potere di ministro economico per bloccare con un escamotage l'acquisizione della banca di Sindona a opera del Banco di Roma, che avrebbe fatto pagare al risparmiatore i costi dei disastri dell'avvocato siciliano.

La Malfa non è stato ucciso o arrestato, ma paga ancora oggi con l'oblio la colpa di aver cercato di occuparsi di economia in modo serio. Tra le sue colpe c'è quella, gravissima in Italia, di aver cercato di realizzare una riforma fiscale poco gradita a chi le imposte non le vuole pagare, come ricorda Eugenio Scalfari in quest'altro articolo del 1993 di cui è bene riportare un brano (mi scuso per la lunghezza del post) che spiega bene cosa si nasconde dietro a tante vicende politiche all'apparenza incomprensibili, o anche solo all'ammirazione di molti per personaggi discussi e discutibili, come Giulio Andreotti.

l' uomo più odiato in quegli anni fu Ezio Vanoni, cioè uno dei capi storici della Democrazia cristiana. Vanoni era un uomo assai mite, molto dolce. Fu per lunghi anni ministro delle Finanze e del Bilancio.

Non si arricchì di una lira, condusse vita specchiata, ebbe vivissimo il senso dello Stato e del pubblico servizio. Morì d' infarto mentre alla Camera esponeva un programma finanziario di giustizia fiscale e di austerità. Nonostante queste qualità che avrebbero dovuto attirargli la stima e il rispetto di tutti, fu passionalmente e visceralmente odiato.

La sua colpa era stata di aver reso obbligatoria la dichiarazione dei redditi, il famigerato modulo Vanoni. La destra italiana infatti, al di là delle distinzioni ideologiche, culturali, estetiche, snobistiche, si è sempre trovata unita da un robusto sentimento unificante: non ha mai voluto pagare le imposte e infatti - finché ha potuto - non le ha pagate. Questo robusto sentimento dura tuttora e lo vediamo.

Un altro uomo odiatissimo dalla destra è stato Ugo La Malfa e insieme con lui Bruno Visentini. Oggi è facile dir bene di La Malfa: è morto da un pezzo. Ma finché è stato vivo la musica era diversa.

Se pronunciavate il suo nome non dico in ambienti missini, ma tra quella che si definisce la buona borghesia, vedevate subito facce lunghe e occhiate rancorose. Una volta uno di questi buoni borghesi, pensando di far dello spirito, mi disse: "Quando sento il nome di La Malfa metto mano alla pistola".

Infatti il suo Partito repubblicano fu sempre lasciato al palo. Aveva le carte in perfetta regola: liberali in politica, fautori ad oltranza del libero mercato, innamorati dell' America e degli americani, gente perbene, gente colta, gente moderna, gente competente. Quattro gatti erano e quattro gatti sono rimasti. La destra vera, la grande destra italiana li ha sempre odiati.

Prima di morire La Malfa osò perfino proclamare che Berlinguer ormai, avendo rotto con Mosca, era entrato di pieno diritto nel sistema democratico e poteva legittimamente aspirare a governare. La vera destra aveva dunque capito bene e fin dall' inizio che La Malfa era un bolscevico. Non era stato anche lui a favore d' una riforma fiscale seria, non aveva combattuto i monopoli, non aveva tentato di riformare il sistema commerciale e di rompere le corporazioni, non aveva voluto (insieme a Vanoni) la riforma agraria, non aveva patrocinato (insieme a Visentini) la nominatività dei titoli e tasse eque sul lavoro autonomo?


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(1) Razza padrona, Scalfari-Turani, Feltrinelli 1974, pag. 390