13 settembre 2010

L'industria del sud nell'Ottocento

Com'era l'industria meridionale prima dell'unità d'Italia?

Secondo lo storico Valerio Castronovo (1) fin dalla prima metà dell'ottocento l'economia meridionale mostrava sintomi di ristagno e debolezza.

L'agricoltura era più arretrata rispetto a quella del nord dove, soprattutto nella val padana, gli imprenditori si erano impegnati in opere di bonifica e sistemazione idraulica, avevano trasformato i contratti di affitto delle terre e fatto ricorso al credito.

Nel sud ciò non è avvenuto o è avvenuto in misura minore, impedendo l'accumulazione di capitali da destinare a ulteriori miglioramenti fondiari e limitando la crescita dei redditi.

Il contesto economico del sud è stato dunque meno favorevole alla nascita e allo sviluppo di un'industria competitiva e ha favorito comportamenti assai diversi da quelli attesi da imprese che operano in un mercato libero.

Diamo la parola a Castronovo: mentre nelle campagne i grandi proprietari fondavano la loro egemonia sulla riscossione di rendite di carattere fiscale o su prestazioni lavorative di matrice feudale, a Napoli e in altri centri urbani appaltatori, grossi mercanti e banchieri, inseriti nell'[..]amministrazione finanziaria dello Stato, cercavano di far fruttare il loro capitale soltanto per conservare i giro d'affari legato a particolari franchigie, a diritti di pedaggio stradale [...] all'esclusiva di determinati lavori pubblici. Il commercio e le attività terziarie finivano così per assorbire le limitate eccedenze prodotte dall'agricoltura per danneggiare lo sviluppo di valide iniziative imprenditoriali

Non mancano le attività speculative. Diversi tra gli imprenditori dell'industria cotoniera, favorita dal blocco delle esportazioni inglesi e dalle coltivazioni di cotone a Castellammare, sono svizzeri, attirati dal basso costo del lavoro e dalla possibilità di ottenere dazi dai Borboni.

Il contesto economico non è favorevole e le iniziative degli svizzeri non fanno da battistrada a una più ampia diffusione dell'industria tessile. I privilegi e il monopolio degli svizzeri, che usano macchinari di provenienza straniera, non stimolano gli investimenti nel tessile e sono modesti i rapporti con l'economia locale.

Anche le altre imprese hanno il fiato corto: le principali cartiere e concerie di Napoli chiudono nonostante godessero di sovvenzioni statali e, più in generale, secondo Castronovo, l'industria meccanica, cresciuta in gran parte non tanto sulla base di investimenti privati, quanto piuttosto sulla protezione e sui contratti sottoscritti dal governo.

E mentre il Liguria, Piemonte e Lombardia il protezionismo doganale non sorreggeva più da tempo le fortune di officine meccaniche e di costruzioni marittime, a Napoli l'industria meccanica continuava a vivere esclusivamente grazie ai pesanti dazi stabiliti sui prodotti esteri.

Il quadro di un'industria debole offerto da Castronovo riguarda infine le ferrovie: il valore reale delle ferrovie napoletane entrate in servizio era quantomeno discutibile.

Volendo generalizzare, è possibile dire che secondo Castronovo al sud ci sono state condizioni meno favorevoli alla nascita e allo sviluppo dell'industria, dal quale è dipeso l'aumento della ricchezza prodotta.

Nel prossimo post sull'argomento spiegherò come certi ritardi tendono a perpetuarsi e quali sono -secondo me- i punti deboli degli aiuti statali al sud.



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V.Castronovo, L'industria italiana dall'ottocento a oggi, Mondadori
, pagg. 19-24