06 settembre 2010

Il federalismo che ci aspetta


Si parla tanto di federalismo fiscale e ormai non si parla più del “se”, ma solo del quando sarà applicato.
Purtroppo la maggior parte di chi ne parla o tende a glissare sugli effetti, oppure tende a concentrarsi sulle questioni inerenti all’unità nazionale, dimenticando che gli effetti potrebbero essere dirompenti sull’economia delle regioni.

Concentriamoci ora ad esaminare gli aspetti fiscali e finanziari.

La struttura fiscale italiana nasce, come scritto nella costituzione, come una struttura regionale, quindi pesantemente decentrata. Purtroppo la tardiva istituzione delle regioni (operative dagli anni ’70) e dall’ancor più tardivo processo di decentramento di riscossione delle imposte locali e delle competenze, ha reso lo stato italiano fortemente centralista dal dopoguerra a oggi, ad eccezione delle regioni a statuto speciale, per le quali vale un discorso a parte.

Le regioni italiane sono divise a seconda dello statuto, ordinario o speciale.

Le regioni a statuto speciale partecipano (cioè trattengono) una quota più o meno consistente dei tributi statali. A titolo di esempio il Trentino-Alto adige, trattiene per sé il 90% di Ires, Ire, una quota variabile dal 40 al 70% dell’IVA, il 90% delle imposte di registro, bollo, concessioni governative, accise e simili. Poi ci sono le addizionali che vanno rispettivamente a regione e comuni.

Nelle regioni a statuto ordinario invece i tributi erariali vanno allo stato che poi provvede a ridistribuirli. E qui iniziano le note dolenti. Infatti i tributi non vengono ridistribuiti in proporzione a quanto pagato, ma seguono altri criteri in modo da favorire le regioni più povere.
Le regioni quindi sono divise in tre fasce: quelle che versano moltissimo, quelle che sono sostanzialmente in pareggio e quelle che ricevono moltissimo. Le tre regioni contributrici sono Lombardia, Veneto e Emilia Romagna. Poi c’è un drappello di regioni più o meno in equilibrio (Piemonte, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, per citarne solo alcune) ed infine alcune regioni che prendono moltissimo: Campania, Calabria, Puglia per citare solo le più grandi.

E non si tratta di numeri piccoli: la Lombardia da sola vale il 25% del PIL italiano. Le tre regioni citate sopra valgono insieme circa il 46% del PIL italiano.

E’ ovvio che il federalismo ha come obiettivo, anche se nessuno lo dice apertamente, di correggere questa situazione. Quindi la riforma non sarà a costo zero, ma ci sarà chi ci guadagnerà e chi ci perderà. Ed è facile intuire chi saranno questi soggetti.