18 giugno 2010

La posta in gioco a Pomigliano

Cosa sta succedendo a Pomigliano d'Arco? Qual è la posta in gioco nello scontro tra Fiat e Fiom? E qual è il ruolo del governo?

Lo stabilimento di Pomigliano d'Arco appartiene alla Fiat da un ventennio, da quando ha comprato l'Alfa Romeo, celebre casa automobilistica ceduta dall'IRI. A Pomigliano si mescolano inefficienze di ogni tipo, come assenze dal lavoro per i motivi pià svariati, ma anche furti, danneggiamenti volontari delle automobili, scioperi del venerdì o in occasione delle partite di calcio (si veda in proposito questo articolo).

Marchionne già due anni fa ha cercato di mettere le cose a posto, chiudendo lo stabilimento, rinnovando tutto, allontanando i lavoratori problematici e insegnando agli altri a lavorare in modo più efficiente.

Poi la crisi ha colpito la produzione di Alfa Romeo. La produzione è crollata ma Pomigliano, a differenza dello stabilimento di Termini Imerese, ha una sua logica: c'è l'indotto e si producono i componenti necessari ad assemblare un'automobile.

Nel settore auto tutto il sistema produttivo, la filiera come si usa dire oggi, è complesso e costoso. Le aziende automobilistiche cercano di produrre just in time: si eliminano le scorte. Chi produce gli pneumatici lo fa poche ore prima che siano montati sulle automobili.

Se qualcosa si inceppa, tutto il sistema produttivo si blocca, facendo aumentare i costi medi della singola automobile.

Per rendere competitivo lo stabilimento e l'intera filiera produttiva, si deve perciò sfruttare il più possibile gli impianti, portando in Italia la produzione della nuova Panda (in Polonia gli stabilimenti Fiat producono già la 500 e la Ford KA).

Per questo Fiat cerca di spingere i lavoratori ad accettare un accordo che riduce i diritti di sciopero e disincentiva le assenze ingiustificate dal lavoro: occorre che gli impianti non subiscano interruzioni e si usin il più possibile.

Il prezzo da pagare è la compressione di alcuni diritti fondamentali, come il diritto di sciopero. E' un diritto irrinunciabile e quindi è ragionevole che la Fiom rifiuti la proposta della Fiat, sottolineando il rischio di una involuzione nel campo dei diritti e delle regole.

Infatti alla finestra stanno Brunetta e Sacconi che non vedono l'ora di ridurre i diritti di tutti i lavoratori. Diritto del lavoro, stipendi pubblici e la Costituzione catto-comunista sono nel mirino del governo, cui farebbe piacere la sconfitta della Fiom-Cigl.

Come se ne esce?

Cercando di distinguere il diritto dal suo uso furbesco: se un lavoratore sciopera per difendere un diritto o per protestare contro chi fa una politica lesiva dei suoi interessi, fa cosa ben diversa da chi sciopera -guardacaso- in occasione della partita della nazionale di calcio.

Senza queste distinzioni, e la difesa dei diritti usati correttamente, la Fiom rischia un autogol clamoroso, che ricorderebbe la marcia dei quarantamila nell'autunno del 1980. Allora scesero in piazza i lavoratori Fiat che capivano che l'azienda non poteva fare a meno di ristrutturarsi, se voleva continuare a esistere. Il sindacato subì una sconfitta dura dalla quale si riprese dopo molti anni.

Oggi il rischio è lo stesso, aggravato dalla minaccia dei ministri di destra che cercano l'occasione per ridurre i diritti di tutti. La sola via d'uscita è accettare evitando di sostenere, magari involontariamente, i furbetti dello stabilimento di Pomigliano.