04 febbraio 2014

La risposta di Bankitalia - 2

3. Effetti per lo Stato e i contribuenti (Chi tirerà fuori i 7,5 miliardi della
rivalutazione? E lo Stato non finirà per rimetterci, incassando dalla Banca d’Italia
meno soldi ogni anno?)


I 7,5 miliardi della rivalutazione sono già nel bilancio della Banca d’Italia. Erano
iscritti come fondi di riserva, ora entrano nel capitale sociale e servono a delimitare i
diritti dei partecipanti. Il capitale della Banca viene rivalutato a 7,5 miliardi, secondo
un criterio che tiene conto del flusso storico di dividendi pagati e della sua evoluzione
nel tempo. Né lo Stato né i contribuenti sborsano alcunché per questa riforma. Il
patrimonio della Banca (capitale + riserve) resta inalterato.

Il timore che lo Stato comunque ci rimetterà, perché incasserà meno soldi ogni anno
dalla Banca d’Italia, è infondato; nasce dal non prendere in considerazione tutte le
variabili in gioco. La Banca d’Italia chiude ogni anno con un risultato d’esercizio che,
in linea di principio, può essere sia positivo (profitto) sia negativo (perdita). Di fatto,
negli ultimi decenni si è trattato sempre di un profitto, variabile a seconda degli anni.
Il risultato discende dallo svolgimento delle attività istituzionali della Banca, che
implicano costi e ricavi. Sull’utile lordo la Banca paga allo Stato innanzitutto le
imposte. Dall’utile al netto delle imposte la Banca preleva i dividendi per i
partecipanti, alimenta le riserve statutarie nella misura massima del 40 per cento e
retrocede quel che residua allo Stato. Ad esempio, nel 2013, con riferimento
all’esercizio 2012, la Banca ha versato allo Stato un totale di 3,4 miliardi, di cui 1,9
per imposte e 1,5 per retrocessione del residuo finale.

Che fa la riforma? Da un lato, è vero, essa implicherà presumibilmente per i
partecipanti un dividendo accresciuto nell’immediato (ma non nel tempo) rispetto a
quello percepito negli anni recenti; dall’altro lato, c’è una novità. Il vecchio statuto
prevedeva, infatti, che il rendimento delle riserve statutarie venisse ogni anno
riversato a incrementare le riserve stesse, per cui non concorreva alla formazione di
quanto retrocesso allo Stato. Con il nuovo statuto questa alimentazione automatica
delle riserve è stata eliminata, in modo da poter meglio commisurare l’entità delle
riserve all’evoluzione dei rischi dell’Istituto. Ne potrà derivare un ampliamento
dell’utile di esercizio che alimenterà la retrocessione allo Stato. I risultati di una
simulazione di quanto la Banca avrebbe dovuto riconoscere complessivamente allo
Stato nei passati dieci anni se fosse stato in vigore il nuovo statuto, tenendo conto di
entrambi gli effetti, indicano che si sarebbe potuto mantenere sostanzialmente
invariato il flusso di risorse trasferito alle casse dello Stato.


4. Il possibile riacquisto delle quote da parte della Banca d’Italia (Se nessuno
comprerà le quote in eccesso, il “riacquisto” da parte della Banca d’Italia non
costituisce un trasferimento di soldi pubblici alle banche venditrici?)

La legge di riforma considera il caso in cui il processo di redistribuzione e diffusione
delle quote su una platea più ampia di partecipanti, che deve compiersi entro tre anni,
incontri difficoltà: la Banca può acquistare essa stessa, temporaneamente, parte delle
quote in mano ai partecipanti che ne posseggono più del limite del 3 per cento e non
riescano a scendere in tempo utile al di sotto di tale limite. In ogni caso le quote non
resterebbero in capo alla Banca ma sarebbero ricollocate al più presto sul mercato. La
Banca d’Italia si limiterebbe quindi a esercitare un ruolo di intermediazione. Si tratta
di una cautela che il legislatore ha voluto introdurre, ma si può confidare che la
probabilità di ricorrere a questo meccanismo sia resa bassa da due ordini di
considerazioni.

Anzitutto, in caso di riacquisto non solo sarebbero congelati i diritti di voto, ma i
dividendi corrispondenti sarebbero riversati nei fondi di riserva, sui quali i
partecipanti non hanno diritti. Inoltre, l’affermazione di un “mercato” per le quote
della Banca d’Italia dipende dalla percezione della “qualità” dell’investimento. Ora, è
presumibile che le quote avranno un rendimento non inferiore a quello di strumenti
analoghi a parità di rischiosità (rendimento che dipende sostanzialmente dagli utili
generati nelle attività investite, a fronte delle passività accese per svolgere le sue
funzioni); inoltre, andrà considerato il valore simbolico dell’essere “partecipante al
capitale della Banca d’Italia”. Il numero di potenziali acquirenti è alto, l’investimento
di ciascuno può essere relativamente limitato. In ogni caso, il Consiglio Superiore
della Banca vigilerà sul rispetto dei requisiti di onorabilità in capo agli esponenti
aziendali e ai partecipanti dei soggetti acquirenti previsti dalla rilevante disciplina
normativa e statutaria.