Leggendo qualche articolo sulla proposta di riforma del lavoro presentata dal governo, con la clausola "salvo intese" che, secondo Mario Monti, significa che la proposta può essere modificata su richiesta del Presidente della Repubblica (cui spetta il dovere costituzionale di firmare le proposte di legge governative), mi domando: cosa resterà della proposta della Fornero?
Già, perché la proposta di riforma suscita molti dubbi. Dubbi dei partiti, in particolare il PD, che criticano i contenuti, così come i lavoratori, che bocciano il governo, la cui popolarità non è mai stata così bassa. Dubbi sulla costituzionalità della legge, sollevati dal solo costituzionalista del governo, il ministro della Salute Balduzzi. Dubbi degli imprenditori che si troveranno a fare i conti con l'aumento del costo del lavoro, misura necessaria per finanziare i nuovi ammortizzatori sociali e disincentivare il ricorso al lavoro precario.
L'idea della Fornero è semplice: si vuole disincentivare il ricorso al lavoro precario, ai finti stage che servono solo a pagare di meno i lavoratori e in cambio si offre una maggiore flessibilità in uscita, poiché si ritiene che sia un errore mantenere in vita aziende decotte e sia preferibile, invece, rendere più dinamico il mercato del lavoro e, in generale, la vita delle imprese.
Una logica di stampo liberista che non va bocciata a priori, ma che suscita molti dubbi. Se da un lato è positivo che si disincentivi il lavoro precario, dall'altro si rende più precario il lavoro, consentendo alle imprese di licenziare un lavoratore per ragioni economiche, con la certezza che non sarà mai reintegrato e che al massimo l'impresa si troverà a pagare una somma stabilita dal giudice.
Gli effetti di questa novità, contestata dai lavoratori (oltre a quelli ricordati da William qui) saranno sia positivi che negativi.
Da un lato si disincentivano tutti quei comportamenti poco onesti da parte del lavoratore difficili da sanzionare e si riduce la microconflittualità. Dall'altro si rende più precario tutto il lavoro, se un'impresa può licenziare senza reintegro anche in caso di motivazioni dichiarate illegittime.
Tale norma è potenzialmente disastrosa, perché l'incertezza può indurre i lavoratori a spendere di meno, (e un'ulteriore diminuzione dei consumi è l'ultima cosa che serve in questo momento) e i licenziamenti potrebbero creare un massa di disoccupati troppo vecchi per trovare un altro lavoro e troppo giovani per andare in pensione.
Un boomerang per lo stato, che si troverebbe costretto a intervenire per sostenere il reddito dei disoccupati e ad affrontare conti pubblici peggiori, per effetto dei minori consumi causati dalla maggiore incertezza.
E' giusto chiedersi allora, cosa resterà della proposta della Fornero, minacciata dal rischio di incostituzionalità e dall'opposizione di molti, preoccupati dalle conseguenze della legge.
Elsa Fornero e Mario Monti paiono non preoccuparsi. La ministra del Lavoro è persona fin troppo risoluta e convinta di aver ragione, e difficilmente lascerà perdere. E neppure Monti lascerà perdere, convinto che si devono applicare all'Italia le regole che si presume siano invocate dai mercati finanziari.
Dunque il governo non si muoverà dalle posizioni assunte finora, salvo correzioni volute dal Presidente Napolitano, che svolgerà il ruolo di mediatore, e il provvedimento sarà considerato dal Parlamento, che si assumerà il compito di decidere davvero, modificando (prima o poi) le regole più indigeste.