11 marzo 2011

Il mercato del lavoro


Il mercato del lavoro

Parlare di mercato del lavoro significa nella maggior parte delle volte ricadere in una lunga enumerazione di problemi, in genere opposta a seconda che la si guardi dal lato del dipendente o dal lato del datore di lavoro.
Io invece voglio analizzare la questione da un punto di vista prettamente fiscale, provando anche a fornire qualche interessante soluzione.
Innanzi tutto partiamo da un dato: quanto costa un lavoratore dipendente all’azienda?
Poniamo alcuni parametri:
- trascuriamo alcuni settori particolari come l’edilizia o l’agricoltura
- consideriamo TUTTI i costi, compresa l’IRAP, che come sappiamo incide direttamente sul costo del lavoro, in quanto quest’ultimo non è deducibile dalla base imponibile IRAP, l’INAIL, le addizionali comunali e regionali, il TFR.
Orbene i risultati sono i seguenti:
1. il dipendente avrà netto in busta paga 1.200 € al mese per 13 mensilità, quindi 15.600 € l’anno.
2. Il costo aziendale per un dipendente è pari a 31.240 €

E’ del tutto evidente che la forbice è semplicemente troppo ampia: il dipendente prende troppo poco e al datore di lavoro costa troppo.

Questo ha i seguenti effetti:

1. Nel momento in cui assumo un dipendente io, datore di lavoro, farò i calcoli sul rendimento del dipendente partendo dal costo del lavoro, quindi un dipendente che mi costa oltre 30.000 € l’anno dovrà essere un dipendente già qualificato, serio e di sicuro affidamento. Viceversa per il dipendente 1.200 € al mese saranno uno stipendio da fame e quindi si sentirà sottopagato!
2. I dipendenti non avranno reddito disponibile da spendere, infatti con 1.200 € al mese e con un affitto o un mutuo da pagare, non rimane nulla per “far girare l’economia”. Per dirlo con uno slogan. E guarda caso la bassa crescita dell’Italia negli ultimi 15 anni è dovuta in buona parte alla debole domanda interna. Ma come può essere forte la domanda interna se ai dipendenti non rimane niente da spendere?
3. Come si può biasimare un datore di lavoro se invece di assumere un dipendente gli fa fare lo stesso lavoro qualificato (!?) dandogli 2000 € al mese (più IVA) facendogli aprire la partita IVA? Il dipendente è più contento perché ha più soldi in tasca e lui detrae tutto e risparmia!
4. Certe lavorazioni in Italia non si possono più fare perché antieconomiche. E qui non parliamo di concorrenza cinese a 400 € al mese, ma rendiamoci conto che un operaio statunitense è più economico di uno italiano.

Allora cosa fare?

Io posso azzardare alcune ipotesi:

1. Se si vogliono mantenere alcune garanzie, quindi lo stesso livello retributivo che garantirà la stessa pensione, non si possono toccare i contributi versati, a meno che non sia lo stato stesso, per scelta politica, a versarne una parte. Una soluzione potrebbe essere introdurre degli sgravi contributivi, come succede attualmente con i contratti di apprendistato, facendo in modo che una parte dei contributi li versi lo stato, in particolar modo quelli a carico del datore di lavoro (circa il 9%). Attualmente l’agevolazione dei contratti di apprendistato dura 3 anni e fino all’età di 26-28 anni. Però se fossero estesi ad esempio per 10 anni, e per lavori qualificati, allora, dopo 10 anni per il datore di lavoro sarebbe altamente antieconomico liberarsi di un dipendente per far posto ad un altro da addestrare da zero.
E’ ovvio che tale agevolazione non andrebbe applicata ai lavori con bassa qualifica.

2. Diminuire la tassazione sul lavoro dipendente e aumentarlo su quello autonomo, in modo che assumere un dipendente sia più economico che servirsi di un professionista o di un artigiano con partita IVA. Questo sarebbe di forte contrasto all’evasione, in quanto i lavoratori dipendenti non posso evadere (o almeno, evadono molto poco...). Inoltre diminuendo il numero delle partite IVA si potrebbero aumentare i controlli su tutti gli altri. Ciò andrebbe accoppiato con una riforma della tassazione delle società, introducendo una “tassa sulle società” apposita. Infatti oggi le società di persone pagano l’IRAP e i soci l’IRE, non pagano tutti l’IRES.

3. Eliminare la possibilità di avere soci lavoratori: tutti i soci di tutte le società dovranno essere dipendenti, per lo stesso motivo sopra.

4. Diminuire la tassazione in generale, in modo di diminuire la differenza tra costo del lavoro e busta paga percepita dal lavoratore.

La riforma, non accontenterebbe tutti: lavoratori autonomi e professionisti sarebbero svantaggiati e le aziende con dipendenti sarebbero avvantaggiate. Ma queste sarebbero scelte puramente politiche.