04 marzo 2011

Due paradossi della scuola

La lettera di una professoressa di latino a Repubblica (vedi qui) sull'inutilità della materia, spinge a chiedersi: perchè la scuola italiana ha tanti problemi?

La prima cosa che viene in mente sono i tagli ai fondi pubblici destinati alla scuola. Ma possono i tagli a spiegare perchè la scuola non prepara in modo adeguato e magari offre materie come il latino e il greco che gli studenti paiono amare sempre meno?

A mio avviso no. C'è qualcosa di paradossale nella scuola italiana. Anzi i paradossi sono due. Del primo parla la Banca d'Italia in uno studio sulla qualità dei servizi pubblici italiani (vedi qui). Dove gli studenti ottengono i voti migliori, le competenze reali, misurate con test uguali per tutti, sono inferiori e viceversa nelle regioni in cui gli studenti ricevono voti più bassi, le competenze reali sono superiori.

Il paradosso si spiega con il diverso ambiente lavorativo: dove conta maggiormente la competenza reale, i docenti sono più severi e meno propensi a fare regali agli studenti. La scuola perderebbe credibilità se assegnasse voti alti a chi non li merita.

Dove invece contano di meno le imprese private e le competenze reali e si spera di più nel concorso pubblico, accade il contrario: conta il voto alto e il docente regala qualcosa, sapendo che in tal modo offre un vantaggio al proprio studente.

Se conta il voto, lo studente ha interesse a fare scelte che aumentano i voti, anche a scapito delle competenze reali. Se conta il voto, non c'è interesse a rendere migliore, più seria e severa la scuola: se è più facile prendere un buon voto in latino che in chimica, lo studente preferirà il latino e non vorrà una scuola che dedica più attenzione alla chimica.

Il secondo paradosso invece è farina del mio sacco. Immaginate una scuola molto semplice in cui si insegnino due materie, il latino e la chimica. Al termine degli studi, ci si può laureare in chimica o in letteratura latina (latino, per semplificare).
Se le imprese hanno bisogno più di chimici che di latinisti, cosa succederà ai chimici e ai latinisti usciti dagli studi universitari?

Chi ha più probabilità di trovare in poco tempo lavoro ben pagata in un'impresa privata e di fare carriera? Il chimico, naturalmente. E chi invece busserà alla porta della scuola alla ricerca di una cattedra, magari provvisoria? Il latinista.

Ma se i migliori chimici trovano un buon lavoro nelle imprese private, mentre buona parte dei migliori latinisti aspira a diventare insegnante, gli studenti avranno ottimi professori di latino e insegnanti meno bravi, preparati e motivati in chimica. Anzi è possibile che l'insegnante di chimica sia un chimico un pò frustrato, non essendo riuscito a trovare un buon lavoro come chimico in un'azienda privata. O magari -nella realtà- non è neppure un chimico. E' magari un fisico o altro che insegna anche chimica.

E' chiaro il paradosso: i migliori insegnanti sono esperti nelle materie meno richieste dalle imprese private. Ma proprio perchè sono i migliori, i più preparati, quelli che hanno studiato di più e con più entusiasmo la loro materia (il latino) preparano gli studenti meglio in latino.

Le imprese richiedono più chimici che latinisti, ma la scuola offre lezioni migliori in latino. E magari offre anche più ore di latino che di chimica, perchè se ci sono molti latinisti e pochi chimici che aspirano a una cattedra, al ministro dell'istruzione può venire in mente la soluzione: aumentiamo le ore di latino, così occuperemo i latinisti che non trovano un altro lavoro.

I due paradossi spiegano perchè la scuola va a rotoli a prescindere dalla disponibilità di soldi. E forse lo spiega da sola anche l'insegnante precaria, che ingenuamente sembra credere che il latino sia una buona materia per imparare a ragionare. Quasi che non fosse possibile ragionare studiando un'altra materia.