12 febbraio 2011

La meritocrazia fallimentare della Gelmini

Il ministro Gelmini, i cui meriti scolastici sono quantomeno dubbi (laureata in legge, è andata a 1000 km da casa per sostenere un più facile esame da avvocato e non ha mai accolto l'invito di Bersani a mostrare i propri voti), vuole di introdurre la meritocrazia nella scuola.

Come? Con complesse valutazioni del lavoro svolto e un premio in denaro ai professori meritevoli. Una quattordicesima mensilità.

Detta così pare una buona cosa, ma i dubbi e i problemi sono tanti.

Come decidere se è più bravo un professore di filosofia o uno di matematica? E' migliore il professore severo o il professore generoso (in voti)? E' più bravo un professore che segue fedelmente il programma o quello che esce dal seminato ma entusiasma gli studenti? E come valutare la chiarezza nell'esposizione di un argomento? E' credibile che un preside dia i voti ai suoi docenti o che gli stessi professori si giudichino?

Quando poi alcuni venissero premiati, come cambierebbe il loro rapporto con gli altri docenti? Chi non è premiato potrebbe risentirsi e qualcuno potrebbe cambiare comportamento, peggiorando la qualità del servizio reso, allo scopo di ottenere il premio.

I dubbi sulla valutazione del merito sono, quindi, legittimi e solo 35 scuole su oltre 1400 candidate alla sperimentazione hanno accettato di partecipare alla valutazione proposta dalla Gelmini (vedi qui).

In più la Gelmini e Brunetta (altro ministro i cui meriti sono quantomeno dubbi come dimostra questo articolo) sono riusciti a proporre un incentivo economico ma non hanno stanziato un euro. I soldi dovrebbero arrivare dalle stesse scuole, che già soffrono una cronica scarsità di fondi. E' naturale, quindi, che molte dicano di no a criteri che offrono poche certezze, salvo quella di uno scarso merito di chi propone certi metodi di valutazione.