14 aprile 2010

Bossi, le banche e le micro-imprese

Umberto Bossi è il vero vincitore delle elezioni politiche di 2 anni fa e delle elezioni regionali di quest'anno. Ha chiesto e ottenuto due candidature alle regionali e i suoi uomini hanno vinto.

Per questo chiede ancora potere: il comune di Milano e, in futuro, la presidenza del Consiglio. Magari non con un proprio uomo, ma con un amico come Giulio Tremonti che nel 1994 non è stato eletto in Parlamento con Forza Italia ma con il Partito Popolare. Partito erede della DC come la Lega che vince facilmente dove un tempo la DC era forte. Ad esempio in Veneto.

Ma ci sono anche le banche. Bossi vuole che i propri uomini contino nelle fondazioni bancarie e, tramite queste, nelle banche del nord. Un messaggio chiaro alla piccola impresa: se conquisteremo le banche, le spingeremo a essere più generose nei vostri confronti.

Pare una buona idea, ma purtroppo non lo è. Le imprese italiane sono troppo piccole, concentrate su mercati di dimensioni ridotte, troppo legate agli interessi anche personali dei pochi proprietari, hanno pochi capitali e pochi manager capaci di farle crescere e sono spesso gestite da signori il cui solo merito è di aver ereditato l'azienda di famiglia.

Benchè questi limiti del tessuto industriale italiano sono noti da anni, interessano a pochi. Chi -come ad esempio Prodi- ha predicato la necessità di far crescere le imprese, agevolando le fusioni e le acquisizioni, e creando imprese meno familistiche e più manageriali, di solito non ha ricevuto attenzione e consenso.

Oggi Bossi spiega agli imprenditori che non devono preoccuparsi: se hanno problemi con le banche, ci penserà lui a limitarne le pretese.
L'effetto è potenzialmente devastante: invece di spingere le imprese a crescere per affrontare meglio il futuro, le si spinge a restare come sono. Col rischio di rinviare i conti con la realtà e trovarsi, tra qualche anno ad avere imprese restate piccole in competizione con imprese straniere nel frattempo diventate più competitive.